Da tempo molti visitatori di questo sito vivono nelle Americhe. Questi si possono chiedere come Tex consideri i popoli nativi.
Questa è una lettera per i nativi americani che visitassero questo sito.
Tra i lettori ci potrebbe essere anche qualcuno che si dispiace quando Tex combatte i nativi. Per questo motivo ho deciso di parlare di questo argomento.
Lo scrittore delle storie di Tex, ha il vantaggio di poter osservare oggi come è andata a finire la storia e avendo visto che l’unica possibilità di salvezza per i nativi è quella di vivere in pace con i bianchi, instilla in Tex questa conoscenza: Tex crede nel sistema delle riserve per la sopravvivenza del popolo nativo, ma quando le riserve non funzionano lui interviene come nei numeri 91 e 166.
“In più occasioni Tex si schiera contro i bianchi a difesa dei nativi: Bonelli, che ha trascorso lunghi periodi nel continente americano, denuncia sin dagli anni Cinquanta l’atroce genocidio di cui i bianchi si sono macchiati nei confronti degli indiani d’America”. (1)
Tex arriva al punto di andare contro la Storia: come nel numero 282, dove si parla di Geronimo e della deportazione di nativi in altri territori.
Tex vede, è consapevole delle ingiustizie contro i nativi, come nei numeri 188, 201, 259, 358, 384, 431, 455, 490.
Tex non vuole che i nativi si ribellino ai bianchi perché non vuole che i nativi siano sterminati, perciò vuole che stiano in pace nelle riserve indiane.
Tex crede che l'unico modo per sopravvivere per i nativi è nella riserva, senza ribellarsi se non per gravi motivi.
Per Tex è necessario non violare i patti con l'uomo bianco per non dare motivo all’esercito di intervenire.
Tex crede molto nel sistema delle riserve per una pacifica convivenza tra nativi e bianchi per questo non vuole che i nativi combattano i bianchi o comperino armi per fare battaglie (alla fine l'esercito li punirebbe). Tex non vuole che ci siano spargimenti di sangue da entrambe le parti.
Se oggi tanti italiani conoscono e amano i Navajo e gli altri nativi e si schierano dalla loro parte nella lotta per i loro diritti, gran parte del merito è dei fumetti di Tex.
“Per individuare la posizione di Tex conviene partire proprio dai primi incontri di un certo rilievo, ossia con i
Navajos e i Piedi Neri, entrambi in procinto di ribellarsi, dove sono contenuti in nuce,” in embrione, “quasi tutti i principi e le convinzioni alla base del suo operato. (n. 78)
Il capo navajo Freccia Rossa, che lamenta palesi violazioni del trattato col governo americano e la minaccia di sterminio delle tribù per il possesso della terra, riceve la promessa del giovane ranger di fare chiarezza sulla questione agendo in favore della tribù e ripristinare la giustizia, ottenendo in cambio una tregua provvisoria.
A Grosso Tuono, capo dei Piedi Neri, che si lamenta delle mancate promesse del governo, Tex risponde con un invito alla saggezza accennando al valore delle Giacche Azzurre, promettendo che, grazie al suo aiuto “per il bene e la prosperità dei guerrieri rossi”, torneranno nella riserva pace e giustizia.
Infine, nel discorso ‘politico’ della sua investitura come capo del popolo Navajo dovuta alla scomparsa di Freccia Rossa (n.16), Tex, ormai Aquila della Notte, promette di guidare i Navajos alla pace con le altre tribù e con gli americani, ricorrendo alla guerra contro tribù ostili solo per ragioni difensive.
Queste nettissime prese di posizione, giustizia, pace, prosperità, saranno confermate, discusse ed approfondite in molte storie successive, ma la base di partenza è tutta qui.
L’azione di Tex nei confronti degli indiani e dei loro rapporti col governo americano, esercito compreso, può essere inquadrata in pochi ma significativi punti fondamentali:
1. Analisi realistica dello stato di fatto
Da uomo d’azione estremamente pragmatico” pratico “qual è sempre stato, l’avanzata della colonizzazione americana nel West non è vista da Tex secondo criteri morali, secondo la prospettiva “giusto-ingiusto”, ma è assunta semplicemente come uno stato di fatto dal quale non si può tornare indietro.
Questa avanzata del progresso e della civiltà non si può fermare (“…a Washington si vuole lo sviluppo del progresso nei territori del West, si regalano terre e si favorisce in ogni modo l’immigrazione dei pionieri in questi stati …”: generale Denver, n.91), il sistema delle riserve, pur con mille imperfezioni, è quasi un male necessario, è una necessità imprescindibile se si vogliono preservare dalla scomparsa le popolazioni indigene.
La riserva è vista quindi come un oasi di sopravvivenza a garanzia di specifici diritti delle tribù, fra i quali si potrebbero nominare il diritto alla terra e alla preservazione della cultura, sia materiale che spirituale, un baluardo difensivo contro l’arroganza e la prepotenza dell’invasore bianco.
Nel mondo fatato di Tex, infatti, si può prosperare benissimo anche senza condurre la vita libera di un tempo, anche con la dipendenza esclusiva dalle razioni alimentari, si può continuare a praticare liberamente le proprie tradizioni e i propri riti, a vivere nelle abitazioni tradizionali e a vestirsi alla vecchia maniera. L’alcoolismo è una piaga individuale, non sociale, così come la vediamo negli albi, e soprattutto non c’è quasi la benché minima traccia di deculturazione (o, con linguaggio forte, di etnocidio), ossia non c’è quasi nessuna pressione esterna affinché le tribù, intese in senso collettivo, abbraccino il modo di vita dell’uomo bianco. Le uniche eccezioni possono essere riscontrate nell’azione dell’agente indiano Meeker (n.569, 570, 571) per quanto riguarda l’agricoltura, e nel desiderio spontaneo di acculturazione dei Pawnee (n.523, 524, 525), fra l’altro due avventure che hanno indubbie basi storiche.
Il doppio ruolo di Tex come agente indiano alle dipendenze del Dipartimento degli Affari Interni e come capo navajo riconosciuto gli dà la possibilità di battersi come nessun altro per la prosperità del suo popolo, una prosperità a dire il vero problematica: i problemi nelle riserve, compresa quella navajo, non sono da imputarsi tanto al sistema amministrativo americano quanto a iniziative individuali, anche da parte dell’agente indiano corrotto, o a lobby di potere volte a impadronirsi della terra o delle ricchezze minerarie presenti.
E’ una logica conseguenza, quindi, che i trattati assumano un aspetto fondamentale per la posizione di Tex, trattati che debbono essere rispettati da una parte e dall’altra, essendo l’unica base giuridica che può garantire il riconoscimento e il rispetto dei diritti delle tribù.
Nel profondo, c’è un certo senso di sfiducia nell’uomo bianco, in primis verso politici e militari, un pessimismo di fondo per la sorte degli indiani che qualche volta viene a galla.
La consapevolezza di Tex in questo senso è chiarissima: la politica di dialogo e della mano tesa alla quale fa riferimento, che è appoggiata dal governo centrale, con personaggi come il commissario agli Affari Indiani, Ely Parker, e il generale Davis, è sempre sul filo del rasoio e pronta a lasciare il campo alle più bieche” odiose “politiche di sterminio, attuate in nome di necessità contingenti o in nome di una sbandierata superiorità culturale.
Tex sa che i trattati in molti casi dipendono dalla forza militare degli indiani, che costringono il governo a venire a patti dopo una vittoria, sa che il diritto della forza precede la forza del diritto (“… quando gli indiani ottengono una vittoria di un certo rilievo e le varie tribù, inorgoglite dal successo, minacciano di unirsi per dare inizio a una vera guerra, il governo si affretta a firmare un trattato promettendo mari e monti, poi, non appena l’esercito si è riorganizzato, di quel pezzo di carta non si ricorda più nessuno!” Tex a Carson, n.358), e che il divario fra le forze in campo sarà sempre a vantaggio dell’esercito, cosa che permette ogni violazione a scapito della parola data, ma nonostante il quasi fatalismo di Davis, espresso in diverse circostanze in occasione di storie come, per esempio, “Le colline dei Sioux”, nel n.482, non smetterà mai di adoperarsi per una soluzione pacifica dei conflitti, quando questo è possibile, e di cercare di ottenere le migliori condizioni possibili per gli indiani.
2. Equilibrio
Come si comporta Tex quando è in atto un conflitto, ossia una violazione di un trattato, sia da parte indiana che da parte americana?
La sua posizione va vista alla luce di due principi dell’agire che lo riguardano da vicino, il principio deontologico e quello consequenzialista.
Il principio deontologico afferma che l’azione giusta (buona, corretta) da compiere in una determinata situazione è quella fatta a prescindere dalle conseguenze che questa avrà ma solo in base a criteri o norme, ad esempio l’onore, la lealtà, la benevolenza, la giustizia, anche se a livello generale da tale azione può risultare un male maggiore o un bene minore.
Senza entrare in dettagli, è evidentissimo che il principio deontologico della giustizia, intesa anche solamente come riparazione del torto, è ‘il’ criterio generale dell’azione di Tex.
Come ranger e agente indiano si trova ad operare per la giustizia umana, ossia per il rispetto della legge, ma quando questa non è sufficiente, se la vera giustizia non coincide col diritto, allora entra in gioco la personalissima giustizia metaumana” da superuomo “(per non dire divina) di Tex, in cui si possono adoperare mezzi ‘umanamente’ illeciti per fini ‘metaumanamente’ leciti, giusti.
E’ chiaro che, come visto sopra, nelle relazioni fra tribù e governo il rispetto di un trattato è come rivestito di sacralità, ogni sua violazione è un’ingiustizia che va riparata, è un turbamento dell’ordine che va ristabilito.
Se le cose fossero così semplici e se l’approccio al problema fosse riducibile al dualismo etico giusto-ingiusto, avremmo dovuto vederlo a capo di numerose rivolte indiane contro l’esercito e i coloni, per il rigido rispetto del principio di giustizia.
Il fatto che non sia così non è dovuto solo all’accettazione di fatto dell’espansionismo americano, come visto sopra, ma all’intervento di un secondo principio.
Il principio consequenzialista afferma che l’azione giusta (buona, corretta) da compiere in una determinata situazione è quella che, viste le sue conseguenze sui destinatari, produrrà il bene maggiore o il male minore, indipendentemente dal significato dato a “bene” o “male”.
Due principi diversissimi se non opposti, meno astratti di quanto si pensi perché riguardano i conflitti nella vita di tutti i giorni, per esempio nel caso: diresti una bugia a fin di bene?
Riguardo a Tex, l’equilibrio da tenere fra indiani e bianchi non può prescindere da una considerazione generale su quale sia il bene indiano, considerando la nettissima posizione dominante dei secondi e lo stato di sudditanza dei primi.
Pace e prosperità per il popolo rosso, secondo il “programma politico” di Tex visto in precedenza, implicano una opzione per la convivenza pacifica che è il valore fondamentale della relazione, e questo valore ha nettissime implicazioni consequenzialiste.
Nelle violazioni di un trattato, o della pace in generale, vanno distinti vari casi.
Ribellione in preparazione: la dissuasione
Quando una ribellione è in preparazione, a causa di torti specifici subiti come nel caso del primo incontro con i Navajos, quando ancora non è stato sparso sangue, la posizione di Tex è improntata alla dissuasione dell’azione armata violenta.
L’eloquenza indiana di Aquila della Notte è presente in numerose storie, le sue argomentazioni sono sempre le stesse, con piccolissime variazioni.
Pur capendo i giusti motivi di risentimento e di sdegno che vengono dal cuore, le azioni violente non vengono dalla mente, non sono sagge, perché trascurano che, dopo qualche vittoria, i soldati arriveranno numerosi come le cavallette e con le grosse canne tonanti, le conseguenze sarebbero terribili: morte, distruzione, occupazione e perdita delle terre, a scapito soprattutto di vecchi, donne e bambini. E’ quindi dal punto di vista delle possibili conseguenze catastrofiche sugli stessi indiani che Tex sconsiglia le rivolte e le azioni violente.
In nome della superiorità numerica e tecnologica dell’uomo bianco, il consequenzialismo di Tex è esclusivamente di carattere prudenziale, ossia la scelta dell’azione da compiere è fatta tenendo conto delle conseguenze sui destinatari delle azioni, soldati e coloni, in misura minore rispetto alle conseguenze a lungo termine sugli stessi attori, ovvero secondo una scelta prudenziale che mira alla conservazione e salvaguardia dell’agente, i guerrieri e l’intera tribù.
Un esempio su tutti sono le parole in risposta alla domanda insidiosa di Cruzado (n.243) riguardo la guida di una grande rivolta indiana: ‘Io non mi sognerò mai di mettermi alla testa di tribù indiane ribelli. Al contrario, farò sempre di tutto per evitare che i miei fratelli indiani diventino vittime di uno spaventoso massacro.’
Questa è l’espressione più pura del consequenzialismo prudenziale texiano.
Subito dopo, ecco il realismo sulla condizione degli indiani, ‘… che si trovano praticamente circondati dalle terre occupate dai bianchi’.
E per finire, l’affermazione di legalità: “Che l’uomo bianco abbia ingiustamente trattato il popolo indiano, è stato più volte riconosciuto dagli stessi bianchi, ma ora esistono trattati che vanno rispettati, cosa che tu non fai conducendo i tuoi guerrieri a razziare gli allevamenti dei visi pallidi.”"
Il drammatico confronto col giovane capo ribelle è come una summa dei principi finora espressi e del delicato equilibrio fra giustizia e consequenzialismo, che nel corso della serie non è mai venuto meno.
L’azione violenta, quindi, è sconsigliata da Tex, il suo consequenzialismo prudenziale sembra delineare una sorta di ‘bene’ indiano che non significa rinunciare alla giustizia in caso di torto subito, ma consiste piuttosto nel rimanere in pace agendo al suo fianco con azioni di supporto non violente senza con ciò esporsi a rappresaglie indiscriminate.
Questo appare chiaramente quando è il popolo rosso ad aver subito ingiustizia, quando questa è particolarmente odiosa e travalica il semplice rispetto di un trattato.
Torti subiti: paternalismo soft
In ‘Sangue navajo’ (n.51, 52, 53), dove ad aver subito ingiustizia è il suo popolo, vediamo infatti Tex agire per ottenere giustizia dopo il fallimento della trattativa pacifica con una sorta di guerriglia non violenta, consistente in un atteggiamento difensivo e offensivo, senza alcun spargimento di sangue, che non tocca la vita dei soldati, catturati senza colpo ferire, ma la proprietà, radendo al suolo Fort Defiance.
Stesso discorso per Fort Lewis (n.91), opera di dissuasione nei confronti degli Utes e azioni volte a colpire direttamente le proprietà dell’esercito.
Ne ‘Il grande intrigo’ (n.141, 142, 143, 144, 145), dove sono coinvolti i Navajos ed è messa in pericolo la stessa carica di Tex come agente indiano, abbiamo un esempio di resistenza passiva affidata a Kit.
L’obbiettivo di Tex è quello di colpire i responsabili degli atti criminosi, restaurando la giustizia violata, arrivando direttamente ai vertici dell’esercito, colonnelli o generali, senza per questo coinvolgere il resto delle truppe: quello della responsabilità individuale è infatti uno dei cardini della sua azione, differenziandosi nettamente dalle azioni dell’esercito, che, molto spesso, colpisce con veri e propri massacri intere tribù innocenti. La responsabilità collettiva non lo riguarda, ognuno deve essere responsabile esclusivamente delle proprie azioni e risponderne a chi di dovere, ed è anche per questo che Tex tende a frenare la violenza reattiva degli indiani, violenza che si estenderebbe indiscriminatamente verso tutti coloro che hanno la pelle bianca, assumendosi per intero e personalmente l’onere della ricerca e punizione dei colpevoli, sostituendosi così direttamente agli indiani e trasformando la vendetta in giustizia.
Così facendo, abbiamo un’ulteriore caratterizzazione del consequenzialismo texiano: Tex agisce come colui che “sa” come comportarsi nei confronti dell’uomo bianco, sia per quanto riguarda la capacità militare, conoscendo entrambe le modalità di combattimento e potendo quindi suggerire la strategia e la tattica più efficaci in battaglia, sia soprattutto per quanto riguarda il bene, o meglio, il benessere delle tribù, nelle modalità sopra indicate.
La sua posizione influente di capo indiano e di agente governativo (il ‘piccolo padre bianco’ rispetto al ‘grande padre bianco’ di Washington) fa sì che il suo atteggiamento risenta di un certo paternalismo, tecnico ed etico. Il primo si basa sulla sua riconosciuta sapienza militare e strategica, per quanto riguarda il secondo, bisogna dire che Tex, in pratica, si pone come l’unico che veramente sappia come il popolo rosso debba comportarsi per ottenere pace, giustizia e prosperità, esercita un po’ il potere di un padre nei confronti dei figli in stato di minorità, come se gli indiani non sapessero decidere fino in fondo del proprio destino, divisi fra fazioni contrapposte, ma dovessero sempre aspettarsi la sua imbeccata di capo sì valoroso, ma soprattutto saggio.
La volontà di Tex viene proposta, non imposta, e accettata nella stragrande maggioranza dei casi, e questo dimostra come non ci sia coercizione né violenza, bensì una sorta di paternalismo etico soft compatibile con l’atteggiamento indiano rassegnato ai tempi delle riserve.
Il capo saggio, e Tex è fermamente convinto di esserlo, è quello che secondo lui ha a cuore la sorte di tutto il popolo, e questo lo accomuna ai veri grandi capi storicamente esistiti, ma non potrà mai e poi mai combattere arrivando a uno scontro militare con l’esercito, anche ai fini della giustizia, qui sta la differenza, ma dovrà trovare vie diverse, non violente, ricorrendo anche a uomini di potere di livello superiore, vedi generale Davis, per permettere al suo popolo di sopravvivere in un sistema, quello delle riserve, che non è sicuramente ottimale ma che è la soluzione migliore in questo momento storico.
La posizione di Tex nei rapporti fra bianchi e rossi prevede quindi che la ricerca della giustizia passi attraverso un consequenzialismo paternalista di stampo prudenziale, che porta ad un’azione di dissuasione di qualsiasi forma di violenza e di ribellione.
Trattative diplomatiche: la mediazione
Una ulteriore variante della casistica proposta, pur rimanendo validi gli stessi principi, è quella che vede Tex operare come mediatore, coinvolto in vere e proprie trattative diplomatiche a favore dell’una o dell’altra parte: per esempio, a favore dell’esercito in storie che vedono come protagonisti Appanoosa (n. 287, 288, 289), Nuvola Bianca (n.358, 359, 360, 361, 362 e n.480, 481, 482), Custer (n.490, 491, 492), e a favore dei Cheyenne nella storia di Lupo Grigio (n.302, 303, 304).
In queste storie, prese semplicemente come esempi, la capacità diplomatica di Tex è veramente straordinaria, dovendosi confrontare con esigenze contrapposte cercando di accontentare l’uno senza scontentare del tutto l’altro.
Tutte queste storie presentano brevi ma significativi momenti di riflessione da parte di Tex o di militari, molto amare nei confronti della sorte degli indiani, in cui appare a chiare lettere l’arroganza e lo strapotere dell’espansionismo militare americano e il delicatissimo equilibrio fra dialogo e sterminio presente in seno all’esercito, dove il popolo rosso è realisticamente visto in una condizione di inferiorità e sudditanza, ma anche dove Tex non è minimamente disposto a rinunciare a una soluzione pacifica di compromesso.
L’atteggiamento di Tex verso gli indiani in questi frangenti è tale che, tramite la sua eloquenza e la sua capacità di persuasione, usando il linguaggio figurato, facendo leva sull’orgoglio e sull’onore, questi si ritrovino ad accettare posizioni e compromessi che se espressi in modo diretto avrebbero ricevuto un nettissimo rifiuto.
Con Appanoosa la persuasione ha successo, nonostante la strada verso il trattato sia cosparsa di intrighi, con Lupo Grigio dei Cheyenne Tex porta poco a poco il capo a una soluzione di compromesso che non era l’obbiettivo principale, nella prima storia con Nuvola Bianca riesce a ottenere un permesso di transito solo facendo leva sulla magnaminità del capo sioux, mentre nella seconda propone un altro compromesso fra le ragioni contrapposte.
Nei conflitti con l’esercito che ne derivano, Appanoosa a parte, che vedono Tex schierarsi con gli indiani, vincendo grazie anche al ricorso a un potere militare superiore, l’azione di Tex rispecchia in pieno i principi sopra enunciati, realismo, giustizia e consequenzialismo: è di particolare rilievo la posizione del generale Davis, che porterà alla tragica fine di Nuvola Bianca, riguardo la responsabilità individuale e la necessità di avere comunque un responsabile, contro la quale Tex, che già ha ottenuto tanto, non può ribattere.
L’attività diplomatica di Tex è quindi importantissima e corre sempre sul filo del rasoio, in situazioni che in partenza sono quasi sempre a favore della parte dominante ma che in seguito finiscono per favorire la parte più debole.
Nella storia di Custer, l’amicizia di Tex con Toro Seduto e Cavallo Pazzo riesce a far accettare loro la spedizione esplorativa nelle Black Hills, ma nel secondo incontro, volto a cercare la resa pacifica o al massimo la fuga per sottrarsi allo scontro imminente, Tex ottiene un netto rifiuto, il suo invito alla ragionevolezza si scontra con un capo che ha la consapevolezza della propria forza ed è sostenuto da una fortissima esaltazione religiosa.
I Lakota riuniti a Little Big Horn infatti sono un popolo libero che non ha sottoscritto trattati e che preferisce la libertà senza confini alla prosperità dentro una riserva offerta indirettamente da Tex.
Con personalità storiche forti come Toro Seduto e lo stesso Custer, Tex non riesce nella sua opera di persuasione, perché la diplomazia e la trattativa falliscono di fronte alla consapevolezza della forza, vera o presunta, di entrambe le parti in causa, quando le forze in campo sono almeno per un momento in situazione di parità, e quando gli indiani non si trovano nello stato di sudditanza proprio della vita in riserva.
Ribellione in atto: repressione
Quando invece una rivolta indiana è in atto ed ha causato già spargimento di sangue, non c’è ragione che tenga, gli indiani sono nel torto, la giustizia va ripristinata, i ribelli vanno combattuti e la preoccupazione in questo caso è rivolta non tanto alle conseguenze ultime per la tribù ma ai destinatari immediati delle azioni criminose, parte debole del conflitto, civili o militari.
Per Tex il capo di una rivolta agisce sempre non solo in violazione della legge e della giustizia, ma anche contro il suo stesso popolo, non ci sono ragioni che lo giustifichino, non c’è spazio per alcuna trattativa o dissuasione, esiste solo la repressione e il ritorno alla riserva.
Questo è l’atteggiamento più duro di Tex, che in nome della giustizia in questo caso non ha riguardi per nessuno, bianco o indiano che sia.
C’è anche da dire che nella fattispecie gli indiani ribelli sono presentati quasi esclusivamente come belve assetate di sangue e di bottino, hanno uno scarso spessore psicologico alle spalle se non la vendetta per qualche sgarbo subito, e con loro Tex non parla, non vuole sentirne le ragioni. Unica eccezione, a memoria, è Apache Kid (n.164, 165, 166), dove Tex tratta con incredibile accondiscendenza un assassino solitario che si era macchiato di crimini odiosi, quasi giustificandolo per il trattamento ingiustamente subito da parte dell’esercito.
Un esempio che serve per tutti è la differenza di atteggiamento nell’ambito della stessa storia fra i capi ribelli Chunz e Cardona (n.458, 459, 460).
Con il primo non c’è alcun dialogo, col secondo, invece, che si è unito titubante alla ribellione e non è ancora completamente coinvolto nello spargimento di sangue, la trattativa è ancora possibile, a patto che deponga le armi e torni nella riserva.
Analogo atteggiamento repressivo si ha nel caso di guerre intertribali in cui sono coinvolti i Navajos, vedi Hualpai e Utes, a più riprese, (n.168, 169, n.200, n.233, 234, 235, 236, n.596, 597), con vere e proprie invasioni di territorio.
Anzi, in questo caso la repressione è ancora più accentuata, perché si tratta della propria autoconservazione, di difendere la propria vita e il proprio popolo, di uccidere o essere uccisi.
Per Tex tutti gli uomini sono uguali.
Questo potrebbe sembrare ovvio e scontato, ma basti pensare ai pregiudizi dell’epoca sugli indiani per rendersi conto di come la posizione di Tex sia avanzata.
Gli indigeni infatti, nella vulgata popolare ma non solo, erano considerati spesso e volentieri come esseri primitivi che agivano spinti, costretti, da vincoli interni come passioni, istinti e desideri, cioè da quella parte naturale se non propriamente animale presente in ogni uomo, senza la minima capacità di porvi un freno, come viene richiesto ad un uomo tout court, e quindi erano visti come esseri non liberi o non completamente liberi, privi di ragione, incapaci o poco capaci di libere scelte a livello morale, così da essere considerati bambini o soggetti in stato di minorità che dovevano essere educati dall’uomo bianco.
Non potevano quindi essergli attribuiti azioni imputabili, con la conseguente impossibilità di valutazione a livello etico. Nonostante tutte le teorie filosofiche dell’epoca sulla dignità ed eccellenza dell’”uomo”, la situazione era questa, si riproponevano in partenza le opposizioni civili/barbari (selvaggi) viste in precedenza, in particolare l’opposizione forte natura/cultura, che riguardava direttamente il dominio di sé, presupposto dell’azione morale.
Riconoscere, grazie al principio dell’azione, piena e pari capacità di azione morale agli indiani è quindi uno dei meriti indiscutibili di Tex, in netto anticipo sui tempi.
Un certo paternalismo si può riscontrare, come detto in precedenza, per quanto riguarda la determinazione del ‘bene’ indiano, e qui, anche se in maniera molto soft, si rispecchiano le concezioni dell’epoca.
Al riconoscimento della qualità di soggetto in senso pieno, dotato di piena autonomia morale, non si aggiunge una completa autodeterminazione, ovvero la padronanza del proprio destino.
Il principio di uguaglianza quindi è una sorta di principio formale, non riguarda i contenuti delle singole azioni, siamo ancora al di qua di una valutazione concreta.
E’ radicale perché taglia alla radice ogni tipo di giustificazione riguardo il comportamento di ciascuno: l’uomo è ciò che fa, molto più di ciò che dice, pensa, crede o sente.
E’ universale e quindi tutti, nessuno escluso, ne sono soggetti.
Non esistono uomini bianchi, rossi o neri, ma solo uomini differenti, diversi l’uno dall’altro, ma ugualmente responsabili del proprio agire e ugualmente valutabili in base alla giustizia dei loro atti.
Le differenze culturali, reali o immaginarie che siano, non contano niente ai fini del giusto o dell’ingiusto, di conseguenza ogni tipo di razzismo o di discriminazione sono esclusi a priori dall’autentica prospettiva texiana.
“… la giustizia non bada al colore della pelle, se è vera giustizia!” (n. 68)
Pur essendo, da un certo punto di vista, funzionale alla colonizzazione, non per convinzione ma per necessità, Tex con ragione può ergersi a paladino della giustizia, la sua concezione profondamente egualitaria mette sulla stessa bilancia forti e deboli, ricchi e poveri, dominanti e dominati, e il piatto della giustizia pende molto spesso a favore dei secondi, fra cui sono da considerare gli indiani, che necessitano del suo intervento.
Dal punto di vista dei colonizzati, degli indiani delle riserve, vittime di soprusi e ingiustizie continue, Tex è l’unico amico sincero al quale si possano rivolgere.
La sua si configura come una lotta per il riconoscimento e il rispetto dei diritti violati, individuali e collettivi, di una minoranza soggetta a uno stato di sottomissione.
Un’identità plurale
Azione e giustizia, insieme all’egualitarismo di base, portano Tex all’esclusione di ogni pregiudizio e ad una estrema apertura relazionale all’altro, apertura molto più simile a quella degli indiani che a quella, abbastanza chiusa se non blindata, dei suoi concittadini americani e dai compagni occasionali nell’avventura in Argentina.
Ancor giovanissimo, è in un certo senso costretto, grazie al matrimonio forzato, a vivere a contatto con una tribù indiana di cui a breve diverrà addirittura capo e agente indiano.
Ma come si sente interiormente, è ‘più’ indiano o ‘più’ bianco?
Al palo della tortura (n. 11) dice: ‘… il mio cuore è quello di un navajo’.
A Nuvola Bianca, (n. 360) che non trova giusto che Tex combatta contro la sua gente, risponde:
‘La mia gente? … e qual è la mia gente? Io non mi sento vincolato dai legami di sangue, Nuvola Bianca, ma dall’amicizia e dall’onore … io non distinguo la gente dal colore della pelle, ma da ciò che ha nel cuore!’
Una fratellanza in nome dell’amicizia e dell’onore, e, in ultima istanza, in nome della giustizia, è superiore a ogni altra, questa è la risposta di Tex, che in questo modo supera ancora una volta tutte le barriere razziali basate sul colore della pelle o sul sangue.
Sicuramente apprezza moltissimo il modo semplice di vita indiano rispetto a quello americano, è un navajo di adozione e il loro capo, fa suoi molti costumi ed usanze ed è naturale che si senta parte di questo popolo, ma non ha senso parlare di un Tex mezzo indiano e mezzo bianco, bensì di un individuo con un’identità plurale, o meglio, biculturale, fatta di tante sfaccettature prese da due culture diverse.
Non sarebbe quindi sbagliato considerare Tex un vero e proprio ‘meticcio culturale’, nel senso di una persona che, pur essendo nata all’interno di una cultura, ha assunto atteggiamenti e modalità espressive propri di una cultura diversa, altra da quella di nascita.
‘Ma un uomo non può essere contemporaneamente bianco e indiano! Un uomo deve scegliere!’
(Colpo Coraggioso, n. 523)
E vista la risposta di Tex, di considerare i Navajos la sua gente, c’è da pensare che l’identificazione maggiore sia appannaggio dell’essere indiano: pelle bianca e cuore rosso, come dice di lui Tiger (n. 417). (2)
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(1) Aldo Santulli, 21 maggio 2015, ‘ASCESA E DECLINO DELL’IDEA DI GIUSTIZIA NEL FUMETTO ITALIANO DELLA SECONDA METÀ DEL NOVECENTO’, p. 12-17, sul sito Internet: http://www.costituzionalismo.it/download/Costituzionalismo_201602_586.pdf
(2) Tex Willer Magazine n. 5