OPUSCOLO 'LA BALLATA DI TEX'.
"Gli oltre quarant'anni che separano dall'avvio del vasto, intricato e tutt'ora inconcluso romanzo di Tex Willer hanno fiancheggiato radicali trasformazioni del costume sociale e segnato non pochi azzeramenti nei versanti dell'informazione e della comunicazione letteraria. Si è assistito, ed è superfluo sottolinearlo, alla nascita di nuovi linguaggi e all'assopimento di altri. L'elettronica, con strepitosa progressione, ha svariato in molteplici applicazioni. Ha accettato i tracciati della scienza e della tecnica e pure sovvertito l'ambiente dei mass media, sicché si sta ormai configurando l'avvento definitivo di quell'annunciato 'villaggio planetario' con rischi e conseguenze (magari non sempre negative) abbastanza avvertibili. Tra i tanti terminali raggiunti dai chips, tempo libero e spettacolo ne sono stati contagiati in maniera sostanziale, provocando nel pubblico mutazioni di rotta e consumi inediti. Eppure la paginetta scritto-disegnata di un fumetto datato 1948 continua a riscuotere sostanziali simpatie ed adesioni, e non solamente tra i confini nazionali. Vi è dunque un certo mistero, un fascino non toccato dalle stagioni, un appeal" richiamo, attrazione, interesse "impalpabile nei canovacci del 'vecchio cavaliere'. Le ragioni per cui Tex non smette di intrigare centinaia di migliaia di anziani e nuovi lettori ogni mese, sono, probabilmente, più d'una. Ma è un fatto che alla base dell'immutato successo e del costante richiamo sta la sua schietta natura di eroe popolare. Di protagonista che immediatamente richiama certe figure amate dai lettori/spettatori giacché prototipi ideali di quelle certezze che convivono nel quotidiano di ognuno. Onestà, rispetto per il diverso, lealtà e, in un tempo, audacia, forza, intelligenza, coraggio, solidarietà. Un coacervo" miscuglio di cose "di sentimenti e di disposizioni abilmente riassunti in una creazione, fatta di segni e parole, in tutto fantastica ed un tanto mitica. Fantastica e mitica come lo furono, e lo restano, quelle degli invitti primattori delle 'chansons de geste'" canzone di gesta, componimento letterario appartenente al ciclo di poemi epici francesi che raccontano le imprese (gesta) di personaggi storici o leggendari ". Quei Paladini che ogni sera riappaiono in scena per narrare le loro imprese, ripetendo e ribadendo le coordinate di un ormai notissimo itinerario avventuroso. Ma, e proprio per questo, tanto più desiderato ed atteso dal pubblico. Un percorso, il loro, che 'deve' obbligatoriamente riavverarsi nelle sue sostanziali cadenze di sfida/lotta/vittoria per aggiungere fascino alla ripetizione. Una formula sicuramente mandata a memoria dall'uditorio, ma egualmente pretesa con passione per potersene incantare ancora una volta, così partecipando ai fatti e agli avvenimenti con immutata adesione. Come accade, inevitabilmente, per ciscuno di quei trascinanti 'cunti'" fiabe, novelle "che, isolati alcuni elementi storici (o presunti tali), li hanno poi dilatati e corredati di una fitta e sgargiante collana di addentellati" collegamenti "ora misteriosi ed ora altamente avventurosi, per meglio risaltare la grandezza dei protagonisti, la loro eccezionalità d'animo, il loro indiscusso carisma. Eroi, in sostanza, distaccati dal tempo loro spettante, forse anche avulsi" staccati, isolati "dalle circostanze e dai fatti che li hanno profilati in primo piano. Sul palcoscenico dei 'pupari'" realizzatore, manovratore, autore, regista del teatro delle marionette "essi ripetono senza alcuna variante gesta ed imprese, atteggiamenti e decisioni, audacie e generosità, consapevoli di appartenere ad un universo arcano" ignoto, segreto, misterioso, impenetrabile "e lungamente fantasticato, che il succedersi del tempo ha lasciato immodificato. Appunto per essere ripetuto e ripercorso ancora cento, mille e più volte. Come accade per le favole, intatte nel loro rinascere e centellinate" bevute a piccoli sorsi con voluta lentezza, per assaporare e gustare interamente gli effetti e specialmente le sensazioni che provoca "con sempre eguale piacere. Tex Willer, protagonista e demiurgo "artefice e creatore "di una interminata successione di eventi, appartiene anch'egli a questo universo. La sua, certamente, è una grande favola. Una favola che ha saputo spostare gli invitanti territori della fantasia nelle assolate praterie del West americano per 'cantare' le azioni di uomini forti e coraggiosi, solidali con gli umili e non razzisti, impegnati a far trionfare la legge e il diritto (magari con modi un pò spicci) in un'epoca contraddistinta da appropriamenti ingiusti e brutali illegalità. Un 'cuntu' moderno, per così dire, che strettamente e solidamente si collega a quanti hanno raccontato agli umili ed ai semplici l'insanabile conflitto tra Bene e Male, aggingendovi la speranza di una possibile giustizia. Come ogni favola, anche quella di Tex vive di situazioni-tipo, di irrinunciabili topoi e di schemi nattativi che appunto nella loro insita e scoperta iterazione identificano la ragione prima di un particolarissimo aggancio con il pubblico. E che, in egual tempo, consentono alla vicenda 'in progress'" in corso, in via d'esecuzione, in divenire "di portare avanti il proprio tracciato consueto e, pur tuttavia, sempre nuovo. Come tale affidato alle epifanie" apparizioni, manifestazioni "di nuovi personaggi, nuovi conflitti, ulteriori interventi protagonistici, altre soluzioni ottimistiche. Un 'ciclo', dunque, come quello di Orlando e dei suoi compagni di lotta, che si ripete, si rincorre, si ripercorre e si assomma con il candore ingenuo di una ballata illimitata nelle sue strofe. Quando si legge che anni fa, a Porto Empedocle, un puparo venne svegliato nel pieno della notte da uno spettatore che non aveva potuto prendere sonno perché alla fine della puntata, la sera precedente, Rinaldo era rimasto incatenato in un buio carcere, e, piangendo, chiedeva all'uomo di andare con lui a teatro per liberare l'eroe, nessuna sorpresa ci deve cogliere. E nemmeno il fatto ci deve stupire, ché il protagonista di questo piccolo accadimento, quando ebbe liberato l'amato Rinaldo e lo ebbe rimesso nella fila con gli altri paladini, si rasserenò e andò a dormire soddisfatto. Di casi analoghi, moltiplicati per le migliaia di lettere desolate (giunte nelle redazioni) a causa di certe scelte testimoniate dalle tavole dei comics, la storia del fumetto americano può allinearne più d'uno. Partecipazione diretta e coinvolgimento personale appartengono pertanto alla logica e al carattere precipuamente" peculiare, caratteristico "rituale dello spettacolo a puntate. Ovviamente, quand'esso viene condotto con saggia suspence tra i labirinti dell'avventura a tuttelettere. E' ciò che accade da più di quattro decadi a quanti seguono le imprese di Tex Willer, anch'esse ritmate su lunghe ed avvincenti strofe. Ossia i tanti capitoli di una narrazione obbligata al 'to be continued' per ribadire le proprie significative caratteristiche, il proprio andare sempre costeggiando ciò che è già accaduto e che nuovamente si dovrà replicare per ancor più enfatizzare il clima emotivo e la sostanza cavalleresca di una 'chanson' in tutto particolare. Adeguata cioè al gusto e ai modelli che il pubblico dei lettori/spettatori ha assimilato lungo le decadi del Novecento in fatto di 'avventura', e pure a quell'epos" poema epico "che sin dall'inizio ha così vivamente segnato il racconto di Bonelli/Galleppini. In altre parole, Tex ed i suoi 'pards' come Paladini aggiornati, come amatissimi 'pupi' che s'inglobano in quella epica western che narrativa e cinema e televisione hanno così largamente diffuso. Il mondo dell''opra'" dell'opera "texwilleriana è ricco di incantesimi, di combattimenti, di magia, di cattivi e di buoni, di agguati e di travestimenti, di leali vittorie e di ribalde azioni. Tutto questo, ad una lettura superficiale, può anche apparire irreale ed infantile. Può sembrare il frutto della semplice trasposizione in immagini disegnate di tanta narrativa filmata dell'Ovest. Una sua copia in termini più umili e dimessi. Non sono però convinto di ciò e nemmeno lo sono quei milioni e milioni di lettori che dal 1948 l'hanno accompagnata e seguita lungo migliaia di tavole. Tex, pur nella sua semplicità espressiva, non rappresenta soltanto un fatto di pura evasione. Ha costruito una storia che integra e spiega opposizioni inconciliabili, speranze, lotte, vittorie e sconfitte di una realtà sempre raccontata in termini affabulati" piacevoli ". O, quanto meno, poco attendibili. Sin dall'inizio, infatti, la marcia verso il West non ebbe cronisti in tutto affidabili. Ben più numerosi risultarono i cantori, i narratori popolari, gli intermediari che si assunsero il compito di divulgare protagonisti ed avvenimenti con quel tanto (o quel molto) di fantasia e di calda partecipazione che i fatti stessi ed i personaggi loro suggerivano. L'avventurosità dell'impresa ed il grande futuro che le si affidava con piena convinzione imponevano enfasi, trasfigurazione, eccessi di ritmo e di rappresentazione. Certo più oneste risultarono le descrizioni di quanti, con tavolozza e pennelli, s'accompagnavano alla fila dei lunghi carri o alle colonne militari. Né si possono scordare la fatica e l'impegno appassionato di alcuni fotoreporter, pionieri a loro volta di un mestiere ancora tutto da scoprire e, perché no, da inventare. La grande massa del pubblico americano non fu comunque toccata dalle testimonianze di pittori e fotografi, dal lavoro paziente e spossante di chi cercava di fissare la realtà nei suoi autentici profili. Al documento 'pulito', all'informazione vissuta in prima persona direttamente sul campo, si preferì senz'altro la sollecitazione accaldata e sin troppo generosa di quanti si prodigavano nell'istituire un nuovo, inedito, filone della narrativa popolare. Così alimentando un 'corpus' letterario che sempre più s'andava infoltendo di emergenze nobili e coraggiose, di virtù civili e di probe azioni. L'altra faccia della 'conquista' restava obbligatoriamente nell'ombra e senz'altro ben poco interessava ad una editoria spiccia e quanto mai disposta ad avallare la divulgazione di un mito. Tant'è vero che il cinema stesso, rifiutando quasi in assoluto l'eredità dei fotoreporter, i quali gli avevano invece fornito ottima materia per una riproduzione sincera e per 'ricostruzioni' aderenti al vero, preferì di gran lunga adagiarsi sulla svelta scrittura dei novellieri per ancor più dilatare quei richiami e quelle suggestioni (egualmente appassionanti) a cui il grande pubblico già s'era andato abituando. Con rare, se non rarissime, eccezioni la produzione nordamericana (Hollywood nasce negli anni Dieci) ha infatti privilegiato un falso West, intinto nei colori accesi dell'azione spericolata e di una manichea spartizione tra buoni e cattivi. Le mezzetinte, i molti grigi, le sfumature, le contraddizioni, sono stati recuperati soltanto in anni abbastanza recenti, quando gli storici hanno cominciato a rivedere le pagine di 'cronisti' che, non di rado, dettavano i propri servizi da lontano, riparati tra comode pareti domestiche. Il tradimento dell'espansione americana all'Ovest, e quindi dell'aggregazione di territori da sempre appartenuti ad altri popoli, si è dunque attuato sin dalle origini della sua divulgazione. Per una nazione giovane, che si stava orgogliosamente profilando sulla scena mondiale, e che già aveva chiaro in mente il progetto di una propria leadership" supremazia, guida, direzione, comando, conduzione "oltre i confini naturali, non importava granché la veridicità della cronaca, con le sue inevitabili ombre, i terribili misfatti, le tragiche eliminazioni, i verdetti improvvisati, il genocidio del popolo indiano. Premeva ben più edificare la Leggenda, dare vita ad un artefatto basamento su cui poi poggiare la propria Storia, bellamente frammischiando e mistificando le tante facce di un'impresa prismatica, cui coloni e sceriffi, badmen e minatori, mandriani e piccoli fuorilegge, avevano tutti contribuito con contrastanti istinti e pulsioni. Quando nel 1948 si avvia il vasto affresco di Tex Willer, immaginato da Gian Luigi Bonelli e disegnato da Aurelio Galleppini, i tempi della Leggenda sono ancora vivi. Sì, qualcuno ha forse tentato minime diversioni rispetto alle regole dell'infiammato, ed infiammante, ventre-a-terra. Forse, qualche scricchiolio s'é avvertito nella troppo enfatizzata prosa western, ma i modelli cui cinema e narrativa (anche quella disegnata) ricorrono per i propri canovacci sono ancora quelli di sempre: il bianco, audace e leale, e l'indiano, infido e sanguinario. E gli archetipi portano alla ribalta i nomi esaltati di Buffalo Bill, del generale Custer, di Davy Crockett, e di qualche altro personaggio del mito, tutti egualmente resi popolari alla grande massa degli spettatori (non soltanto americani) attraverso i volti celebrati di divi hollywoodiani. Presenze a loro volta altrettanto mitiche. Belle, patinate, atletiche, sottolineate dal candore e la purezza di un Gary Cooper o dalla estrosa vitalità di un Errol Flynn. Mentre John Wayne ancora navigava tra le sequenze dei 'B-movies' e solo si raccomandava per il carattere insolito di un fordiano Ringo, il fumetto si era più volte incontrato, in precedenza, con i temi della prateria. Quello italiano, per non allargare troppo il discorso, li aveva affrontati in maniera del tutto 'autarchica', ossia con minime conoscenze (se non assoluta sconoscenza) dei luoghi geografici e delle situazioni, dei personaggi e delle molte conflittualità. Li aveva ricalcati sui fotogrammi, confidando nelle produzioni maggiori di Hollywood e, talvolta, anche sui suggerimenti dei più semplici e schematici racconti delle case minori. La documentazione affidabile risultava quanto mai risicata e la sua reperibilità estremamente difficile. Lo ha ricordato Antonio Canale, un 'grande vecchio' del racconto disegnato: 'In quei giorni ero alla caccia affannosa di ritagli di giornali; mi servivo delle fotografie di una rivista specializzata di cinema. Per riuscire a trovare qualcosa di buono bisognò attendere il dopoguerra. Cominciarono allora a circolare copie del famoso 'Geographic Magazine' con interessantissime foto. Cercavo sulle bancarelle riviste americane come 'The Saturday Evening Post' o 'Collier's'. Nelle loro pagine comparivano ogni tanto racconti western illustrati da disegnatori specializzati'. In tanta povertà d'informazioni, di notizie in presa diretta, cui solo la grande passione per l'avventura e l'amore per il proprio lavoro di narratori per immagini potevano in piccola parte sopperire, era giocoforza accettare per valido ciò che i media (stampa e cinema) passavano e certificavano quale documento affidabile. Tuttavia, che il luccichio di tanta Leggenda non fosse proprio quello dell'oro qualcuno lo avvertì e comprese che le piste tracciate dall'enfasi e dalla convulsa partecipazione d'oltre Atlantico non erano poi da accogliere quali prove incontrovertibili. I primi ad intuire che il vero risiedeva sotto una stratificata contraffazione, per decenni alimentata con immutata adesione, furono certamente Rino Albertarelli e Gian Luigi Bonelli. L'uno, immaginando e disegnando il personaggio di Kit Carson, un trapper ormai al tramonto, splendido e lucido antesignano di quel 'cavaliere della valle solitaria' che doveva apparire sullo schermo ben quindici anni più tardi, attraverso le sequenze dirette da George Stevens ed interpretate da Alan Ladd. L'altro, sceneggiando nel 1939 (sulle pagine del settimanale cattolico 'Il Vittorioso') il canovaccio di 'La piuma verde', un meritevole racconto, visto dalla parte degli indiani, disegnato da Antonio Canale. Mi sembre allora opportuno riportare quanto mi disse Bonelli diversi anni addietro: 'Il western mi è sempre piaciuto, d'istinto. Uno ci nasce con un'idea. Io sono cresciuto vedendo i film di William Hart. Uno stangone, brutto ma con una grinta fenomenale. Poi è venuto Tom Mix, un mito. Poi Ken Maynard. Insomma, mi sono trovato la strada segnata: l'idea dell'avventura che avevo appunto sin dalla nascita, si è per così dire 'incarnata' nel western. Allora, ovviamente, era un western preistorico, sia nel cinema sia nei fumetti. Nessun problema: l'importante era l'ambiente, e l'indiano faceva parte dello sfondo. Era il cattivo necessario, come il lupo nelle favole'". (2)
Altre pubblicazioni.
Parlando dei western, Sergio Bonelli su Panorama: “Erano esotici, e raccontavano un mondo semplice, in cui si capiva dove era il bene e dov’era il male”. (7)
"Testimone esemplare della vitalità dell'avventura classica, quella dei Buoni contro i Cattivi coi Buoni destinati a trionfare e i Cattivi rassegnati a vedersi sconfitti, in un contesto (la 'Golden Age' del leggendario West), talmente standard da risultare ben noto, nonché felicemente scontato agli occhi di grandi e piccini: anche se, nel medesimo tempo, non vi si trova nulla di ovvio né di scontato, e ogni vignetta ci immette in un microcosmo insospettabile". (11)
"Un particolare fenomeno del fumetto italiano è rappresentato dalla presenza costante del genere 'western', proveniente da una cultura che non ci appartiene ma che abbiamo adottato in grande stile; molti fra i nostri più importanti 'character' possono confermare quanto la formula 'cappello, destriero e pistola' sembri miracolosa. Soltanto a cavallo fra gli anni Trenta e i Cinquanta furono varate numerosissime serie, come 'Kit Carson', 'Kinowa', 'Pecos Bill', 'Il Piccolo Sceriffo', 'Kansas Kid', e il personaggio più longevo dell'intero panorama fumettistico del nostro paese, 'Tex'". (4)
Sergio Bonelli: "Tex, nascendo nel '48, prese vita in un momento in cui imperversava sul mercato la moda del genere western. Il cinema americano proponeva lungometraggi western interpretati da attori che divennero in seguito delle 'pietre migliari' nella storia del cinema. E' l'epoca del trionfo degli attori americani. Il mercato è dunque un pò inflazionato da pubblicazioni di questo genere, noi stessi ne avevamo già messe in circolazione quattro o cinque, per cui il buon riscontro che fin dall'inizio ebbe Tex risultò a maggior ragione assolutamente straordinario". L'intervistatore: "Secondo Lei, è il genere del fumetto, oppure il personaggio in sé a determinare il successo di un giornale?" Sergio: "Io reputo che siano due fasi consequenziali. Bisogna in primo luogo azzeccare il genere. All'epoca di Tex, ad esempio, era di moda il western e c'erano in circolazione più o meno una ventina di pubblicazioni di questo tipo. Questo sta a dimostrare che quando esiste una forte concorrenza all'interno dello stesso filone diventa poi fondamentale scegliere il personaggio giusto". (3)
Franco Busatta a Sergio Bonelli: "Perché il genere western ha tanto successo, nell'Italia del dopoguerra?" Sergio: "Reduci da un bagno di traumatiche realtà e circondati dalle testimonianze ancora vive di un conflitto spietato, gli italiani hanno probabilmente bisogno di tuffarsi in vicende fiabesche, in imprese, sì, violente, ma risolte da eroi nobili e fieri. Avventure ambientate in uno scenario tanto spettacolare e insolito da sembrare di sogno. E a loro non sembra vero, in un paese che ha vissuto un'autentica guerra civile e dove non si sapeva bene con chi stare, poter finalmente distinguere nettamente tra buoni e cattivi. Tutte cose facili da ottenere, finita la guerra: basta lasciarsi catturare dalla suggestione di un film o di un fumetto western". (1)
"In realtà il West non è un luogo della realtà, non designa la particolare epoca storica che tutti conosciamo. Le sue coordinate geografiche e temporali sono solo convenzioni. Il West è altro: un mito, una leggenda, un sogno, il simbolo dell'avventura, la metafora della vita. Ancora meglio, il West è una frontiera. Non solo, o non tanto, quella fra le terre dei bianchi e quelle dei rossi, quanto la frontiera fra noto e ignoto, fra realtà e mistero, fra scienza e magia. Un varco fra mondi paralleli. Negli anni Cinquanta, Sessanta e per molti dei Settanta il West spopolava al cinema e nei fumetti. Di conseguenza animava i giochi dei bambini e dei ragazzi. Poi, per motivi sui quali sarebbe interessante (ma troppo lungo) soffermarsi, il western perse mordente fino all'abbandono dei nostri giorni. Peraltro, non è che il genere sia morto senza eredi: quasi tutte le sue convenzioni sono state assimilate o hanno sedimentato in generi diversi. Si dice spesso, per esempio, che in fondo 'Guerre Stellari' è un western spaziale. Non perché ci siano cowboy con le pistole laser e cavalli meccanici, ma perché ci sono sempre ragazze rapite, attacchi ai convogli e gente sotto assedio, santabarbare da far saltare, scenari grandiosi e terre selvagge abitate da nativi bellicosi, fughe e inseguimenti, buoni e cattivi, soldati e ribelli, banditi e sceriffi, vigliacchi ed eroi e soprattutto perché alla fine arrivano i nostri. L'epica e l'epopea sono eterne, cambiano gli scenari e la tecnologia. Tuttavia, mentre il cinema western langue, l'eroe dei fumetti Tex Willer continua a godere di eccellente salute. Pur essendo l'eroe western per eccellenza, è sopravvissuto al declino del genere senza pagarne lo scotto: evidentemente perché dotato di uno spessore tale da permettergli di splendere di luce propria e cavalcare i tempi oltre i trend" tendenze, orientamenti, andamenti "e le mode. E meno male. Grazie a lui è ancora possibile godere della magia del western, con il suo campionario entusiasmante di situazioni e scenari classici eppure ancora incredibilmente giovani, eternamente giovani come è sempre giovane la frontiera, dovunque si trovi". (5)
"Il genere western a fumetti fiorì davvero là dove la Frontiera era più sognata che vissuta: l'Europa. In particolare, nell'Italia di quegli anni Cinquanta, le edicole straripavano di albi western, tra 'Pecos Bill', 'Piccolo Sceriffo', 'Capitan Miki' e mille altri. Tra i quali, naturalmente, quelli del nostro Tex. Bonelli e Galep non erano rimasti fermi al western ingenuo di serie B, quello di Tom Mix, Hopalong Cassidy, Gene Autry e compagnia. Già nel lontano 1948 i loro modelli erano quelli del western adulto, dal De Mille di 'Giubbe Rosse' allo Hawks di 'Fiume Rosso'. Inoltre 'Tex' poteva già vantare storie complesse, lunghe e avvincenti, da vero romanzo disegnato, che ne fanno, insieme ad alcuni capolavori della scuola franco-belga, come 'Blueberry' e 'Comanche', o all'italo-argentino 'Sergente Kirk' (di Oesterheld e Pratt), e a qualche altro italiano della scuderia Bonelli ('Storia del West', 'Ken Parker', 'Magico Vento', per citare i più famosi) uno dei fumetti western più complessi e meglio raccontati. Oltre a essere, naturalmente, il più longevo e il più venduto. Del mondo!" (10)
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(1) Maggio 1998. Franco Busatta intervista Sergio Bonelli, su 'Come Tex non c'è nessuno', Editrice PuntoZero S.r.l., Bologna, p. 50.
(2) 9 maggio 1994. Claudio Bertieri su 'La ballata di Tex', supplemento a Comics n. 19, p. 10 - 13, Editore Comic Art S.r.l., Roma, p. 10-13.
(3) Sergio Bonelli, 'Io devo tutto a Tex e mi sento un pò Tex...', p. 97 - 8 su Status Symbol, Edizioni Eden, anno II (1993), Rho (MI).
(4) Maggio 2005. Sergio Algozzino, 'Italia 1937-1948 - Spaghetti Western', su "Tutt'a un tratto - una storia della linea nel fumetto", Tunué S.r.l., Latina, p. 30.
(5) Moreno Burattini, 'Un classico calibro 45', su Il passato di Tex, classici moderni Oscar Mondadori, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, ottobre 1999, p. IX-X.
(6) Umberto Volpini, 'Il western made in Italy', su "WOW", Nuova serie, n. 2, gennaio 1990, p. 7 - 8 dell'inserto, Studio Metropolis, Monza.
(7) Sergio Bonelli, 'Western: cento anni vissuti pericolosamente', Panorama del 4 settembre 2003, p. 125, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano.
(10) Novembre 2011. Mauro Boselli, 'Il West a fumetti', su My Name Is Tex, Panini Comics, Modena, presentato da Panini Fun, Anno I, n. 4, p. 40.
(11) Settembre 1998. Raffaele Mantegazza e Brunetto Salvarani, 'Io che non vivo più di un'ora (senza Tex)', su Disturbo se fumetto?, Edizioni Unicopli, Milano, p. 122-123.
anche Graziano Frediani, 'Tex contro Mefisto: un match infernale, su Tex e il figlio di Mefisto, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, 1994, p. 9.